Incertezza
Saldamente radicati nell’incertezza
Sarah Giannini
L’avvento e il dispiegarsi nel tempo della pandemia ci hanno ricordato che non ci sono certezze: come niente un virus si diffonde in tutto il pianeta e poco possiamo fare per tenerlo a bada e tenerci al sicuro. Sappiamo che la vita non è eterna e che vecchiaia, malattia e morte ne fanno parte, ma per lo più ci comportiamo come se questa verità riguardasse gli altri e non davvero, profondamente noi. La società occidentale ci aiuta in questo illusorio processo di occultamento, scopando la morte sotto il tappeto e combattendo l’invecchiamento a colpi di creme antirughe, iniezioni di botox e bisturi che sagomano l’eterna giovinezza. La pandemia ha portato la malattia sotto le luci della ribalta, ci ha forzato a specchiarci nella vulnerabilità e abbiamo provato paura, rabbia, tristezza, solitudine e impotenza. La vita ha ribadito il fatto ovvio e spessissimo dimenticato che non è certa, permanente e prevedibile, ma questo non è un problema. E’ un fatto. Il problema è aspettarsi che lo sia.
Il Buddha ha detto che l’esistenza ha tre caratteristiche: la sofferenza, l’impermanenza e la mancanza di una realtà ultima sostanziale. Che tutti i fenomeni condizionati sono, in ultima istanza insoddisfacenti, mutevoli e impersonali o privi un Sé. Una conferma di queste affermazioni - che molti potrebbero liquidare come una mera visione filosofica - viene dalla fisica. La meccanica quantistica ha dimostrato che dobbiamo rinunciare alla materia, intesa come sostanza dotata di attributi, su cui tutto si fonda, che esistono certamente caratteristiche e proprietà delle cose, ma sono relazionali e si manifestano solo interagendo con altre cose. Non c’è nulla sotto. E’ naturale che ci manchi la terra sotto i piedi!
Ma piuttosto che sfuggire all’incertezza, potremmo accettarla. Potremmo conoscerla, potremmo sviluppare familiarità, potremmo sintonizzarci sulla sua lunghezza d’onda invece di erigere argini perché non tracimi. Per conoscere, non servono certezza, anzi sono di ostacolo. Se ci accostiamo alle cose con il filtro di pregiudizi (conoscenze già introiettate e mai più messe in discussione) non vedremo mai le cose come sono, ma solo come già le abbiamo viste. Non come sono loro, ma come siamo noi, parafrasando il Talmud. Il fisico Carlo Rovelli scrive nel suo saggio Helgoland: “non cerchiamo di insegnare al mondo come dovrebbe essere. Stiamo piuttosto ad ascoltare il mondo, per farci insegnare da lui come sia meglio pensarlo.”
Stiamo ad ascoltare. E come si fa ad ascoltare il mondo? Da dove si comincia? Dalla nostra esperienza. Un mezzo abile è la meditazione. E’ un modo per vedere la nostra esperienza con chiarezza. Prendiamo l’esempio dell’incertezza. Ci fa paura. Sediamo - ci vuole un tempo e una posa dedicata per conoscere, per esplorare le cose – e chiediamoci: dov’è questa paura nel corpo? Come si manifesta? Che caratteristiche ha? Magari serra la gola, magari irrigidisce l’addome, magari fa battere forte il cuore. E ancora: com’è una sensazione di tensione vista da vicino? Se isolo la tensione e la metto, per così dire, sotto la lente di ingrandimento dell’attenzione, cosa succede? E’ sempre uguale? Cambia di posto, di intensità, resiste, pulsa, preme? Com’è? Questo non ha nulla a che vedere con il pensare all’incertezza, seguire o nutrire o farsi spazzare via da pensieri di paura: questa è esperienza diretta. Certo, ci sono anche i pensieri: sedendo in meditazione li vediamo arrivare a frotte, a volte molti insieme, carichi, pesanti come nubi che oscurano il cielo, ci affollano la mente e si insediano con tenacia. Ma possiamo isolare e guardare anche loro. Non tanto vedere cosa dicono, non è il contenuto l’oggetto dell’indagine, quanto come si comportano. Riusciamo a notare l’insorgere di un pensiero? Proprio l’attimo in cui arriva? Prima non c’era nulla e a un certo punto ecco che compare! Poi forse indugia un po’, si svolge, si dipana. E poi svanisce, per essere sostituito da altri pensieri o da momenti di silenzio. I pensieri sono oggetti mentali, non devono per forza calamitarci o risucchiarci, possono essere esaminati come ogni altro oggetto. Anche dei pensieri possiamo fare esperienza immediata.
In questa indagine in presa diretta potremmo anche notare che la parte di noi che conosce la paura non ha paura. La parte che investiga non è terrorizzata, può anzi essere incuriosita, interessata, anche stupita, ma certamente non trema. E’ raccolta, composta, fondata, stabilita. Se proprio ci occorre un punto fermo o almeno un punto di riferimento, questo è disponibile. Non sul mercato. In noi. Radicandoci nell’incertezza, apprezzeremo il fatto che la vita è incredibilmente volatile e, per questo, incredibilmente preziosa.