I 7 pilastri della pratica

Questi atteggiamenti, da un lato favoriscono la pratica di consapevolezza, dall’altro si incrementano grandemente con la pratica stessa.

1 Non giudizio

Mentre facciamo attenzione alla nostra esperienza momento per momento, cerchiamo di non cadere preda di idee, opinioni, pregiudizi, etichette, categorie e schemi: Che noia! Non ci riesco! Non funziona! Sono tutti giudizi che con il tempo si impara a lasciare cadere.

Il non giudizio forse è meglio reso con non-pregiudizio. Il pregiudizio consiste nell’aver giudicato una cosa una volta per tutte e nell’utilizzare l’etichetta messa per tutte le esperienze successive. Io ho paura dei cani perché un cane mi ha morso da piccola. Questo pregiudizio impedisce di accostarsi all’esperienza “cane” con autenticità, fa da filtro tra noi e tutti i cani futuri, ci preclude la possibilità di vedere un cane per ciò che è e si limita a riproporci come lo vediamo noi. 

2 Pazienza

Accettiamo il fatto che le cose hanno un naturale tempo di maturazione, che può essere anche faticoso (il bruco, prima di diventare farfalla sta un sacco nel bozzolo. E’ come imprigionato. Non gli faremmo però un favore, se aprissimo dall’esterno il bozzolo per liberarlo.) La pratica ha una sua gradualità. La pazienza è un invito a non forzare: anche nel tenere l’attenzione sul respiro, non si tratta di uno sforzo teso a dover tenere l’attenzione, ma più un appoggio morbido, come una foglia che galleggia sull’acqua.

3 Mente del principiante

“Nella mente del principiante ci sono molte possibilità, in quella dell’esperto, poche.” Suzuki-Roshi

Siamo disposti a guardare ogni cosa come se fosse la prima volta che la vediamo, senza aspettative  e pregiudizi, ma con curiosità e interesse. Avete mai visto un bambino piccolo con un mazzo di chiavi in mano? Le guarda e le riguarda, le scuote per sentirne il tintinnio, le mette in bocca, le butta per terra, le gira e le rigira senza mai stancarsi. Questo atteggiamento va rispolverato soprattutto dopo un po’ di tempo, quando magari la pratica ha perso un po’ di freschezza ed è diventata meccanica o avvizzita.

4 Fiducia 

Il termine è diverso da fede: fede significa credere in qualcosa che non si sa se sia vero. Fiducia è credere in qualcosa che si è sperimentato come vero, che è stato validato dall’esperienza personale.

Meglio fidarsi della propria intuizione, autorità ed esperienza che cercare sempre una guida all’infuori di noi. Siate lume a voi stessi, dice il Buddha E anche: non vi chiedo di fidarvi delle mie parole. Vi chiedo di provarci.

Mentre la fede è utile per iniziare a praticare (magari si tratta di un incontro, di una lettura che accende una scintilla e ci induce a intraprendere un percorso che non vediamo con chiarezza), la fiducia si sviluppa attraverso la pratica: ci ho provato, ho sperimentato di persona e ho visto/compreso sulla base della mia esperienza. 

5 Non cercare risultati

La meditazione non è un “fare” o è un fare del tutto sui generis. Viene anche definita Fare senza fare, wei wu wei. Oppure Essere. Il fare ha come scopo il conseguimento di un obiettivo specifico. L’Essere no. La consapevolezza è uno stato desiderabile di per sé e non può essere ridotta a una procedura. 

In meditazione, il modo migliore per ottenere risultati, è non cercare di ottenere risultati, ma di concentrare l’attenzione sulle cose così come sono. Si tratta di fare spazio a ciò che arriva e di consentirsi di essere esattamente ciò che si è. 

6 Accettazione

Significa essere disposti a vedere le cose così come sono, senza lottare: sprechiamo un sacco di energia a negare o a resistere a cose che già, di fatto, ci sono. Accettare ciò che c’è non significa apprezzarlo per forza. Non ci deve piacere. Significa riconoscere che la realtà è come è e non come noi vorremmo che fosse. Questo gap tra come sono le cose e come noi vorremmo che fossero è causa di grande infelicità. Tutta di nostra produzione! 

Accettando, si fa spazio. Se la mente è confinata a una sola idea, ossessionata da una sola cosa, non è spaziosa: è contratta. 

L’accettazione non ha nulla a che vedere con la rassegnazione e non è un atteggiamento passivo: anzi è una disponibilità a volgersi verso ciò che arriva e richiede coraggio, dato che ciò che arriva potrebbe non piacerci affatto. 

7 Lasciare andare

Questa indicazione può sembrare fuorviante. Non è che “lasciando andare” le cose spariscono. Che cosa, esattamente, si dovrebbe lasciare andare?

Mettiamo da parte la tendenza della mente ad attaccarsi ad alcuni aspetti della nostra esperienza (MI PIACE!) e a respingere altri aspetti (NON MI PIACE!). Forse Lasciare essere cattura meglio l’intenzione di questo atteggiamento. Ammorbidiamo la presa, anche sui nostri pensieri, sulle opinioni cui siamo profondamente attaccati: appena sorgono li consideriamo veri, inappellabili. Ma non è necessariamente così: i nostri pensieri non sono noi, non sono per forza veri come ci appaiono e quasi sempre non sono descrizioni accurate della realtà. 

Trattenere contrae. Lasciare andare, rilascia. 

Vivere momento per momento, Jon Kabat Zinn

claudio bissoli